Corriere della Sera: “Fassino, porta a porta senza simboli”

Fassino, porta a porta senza simboli

La lunga rincorsa di Appendino

La campagna «apolitica» del sindaco uscente. Le incertezze nel centrodestra

di Marco Imarisio

(articolo del Corriere della Sera di domenica 29 maggio)

Al quarantesimo locale di San Salvario, e quindi al quarantesimo assaggio di caffè, spremuta, bianchino, addirittura di sidro bretone come quello offerto dai ragazzi francesi che gestiscono il “Si vous plait”, arriva la conferma ufficiale. Piero Passino è un osso duro. E non solo per l’ammirevole tenuta epatica, messa a dura prova in un sabato mattina trascorso nel quartiere della movida, ad ascoltare le ragioni dei commercianti e pure quelle dei comitati contrari agli schiamazzi notturni. Appena poco tempo fa Torino era considerata con Roma l’epicentro del futuro terremoto politico, se non conquistabile comunque contendibile. I retroscena giornalistici informavano del fatto che dopo la Capitale era questa città il principale campo di battaglia del Movimento 5 Stelle e della sinistra a sinistra del Pd, che infatti si erano mossi con un certo anticipo mentre il sindaco uscente tentennava.
E poi c’era, e ci sarà ancora, l’innegabile problema dello scarso rinnovamento di una classe dirigente, non solo politica, che dall’inizio degli anni Novanta governa la città senza farsi troppe domande sul ricambio generazionale. Alla prova dei fatti, ovvero dopo due mesi di campagna elettorale, qualcosa è cambiato. A cominciare dalla posizione di Fassino, l’ex compagno Filùra, che significa fessura, soprannome che gli davano i comunisti torinesi per via dell’inconfondibile fisionomia. Da preda che era, l’ex ministro, ultimo segretario dei Ds, sembra ormai diventato cacciatore, alla ricerca di una vittoria al primo turno considerata improbabile dai sondaggi. Quel trofeo gli consentirebbe anche di rientrare nelle conversazioni su cariche future come la presidenza del nuovo Senato, o di partito, se e quando il Pd farà un congresso.
Il primo indizio è venuto dai manifesti elettorali. Nessun riferimento a Matteo Renzi, nessun simbolo del Pd. Poi è venuto il resto, una campagna elettorale che invece di volare alto sui grandi temi della politica nazionale è stata giocata sulle buche nelle strade, sulla sicurezza nei quartieri, sulle possibili modifiche alla viabilità degli autobus. Porta a porta, non nel senso di Bruno Vespa, casa per casa. Nell’ex magazzino di calzature in borgata Aurora, sede della campagna elettorale, il mantra è stato questo. All’inizio di marzo, tramite chiamata diretta sul sito del candidato Fassino, sono stati arruolati 350 giovani volontari, un piccolo esercito che veniva dispiegato in mercati, quartieri, centri commerciali, con l’incarico di non fare solo propaganda, ma di portare a casa anche le domande più pressanti che arrivavano dai cittadini, ai quali arrivava poi la risposta per lettera del sindaco. Può sembrare un paradosso, per un uomo che ha sempre avuto una storia e delle ambizioni di carattere nazionale, ma la sua campagna elettorale minimalista ha tolto acqua a quella degli avversari più temuti, che puntavano sulla radicalizzazione del voto. Sia l’ex Fiom Giorgio Airaudo che la candidata dei Cinque stelle Chiara Appendino hanno dovuto fare i conti con la depoliticizzazione imposta da Fassino e di conseguenza con una città che quando guarda a se stessa non si vede certo brutta, o insoddisfatta. La giovane manager pentastellata ha poi condotto una campagna all’insegna di una timidezza, non solo caratteriale. Dopo averne rifiutati molti, non ha mai lasciato un segno nei confronti, svicolando spesso dalle domande. Eppure sarebbe bastato il dato anagrafico, l’età media dei sette candidati torinesi è la più alta di tutta Italia, per avere un argomento su cui fare leva. Chissà, forse Appendino sta tenendo il meglio per l’eventuale ballottaggio.
A Torino il centrodestra raggiunge da sempre vette altissime di surrealismo. Questa volta si è presentato diviso in tre salvo poi scoprire che i sondaggi su un candidato unico avrebbero portato dritto al ballottaggio. Roberto Rosso, transfuga di Forza Italia, si presenta con Udc, liberali e liste civiche. Il suo programma prevede la costruzione di un grande boulevard da Porta Nuova al Lingotto e la vendita di tutte le società del Comune a «soggetti della finanza mondiale» ancora in via di identificazione. Osvaldo Napoli, berlusconiano doc, ha passato metà campagna elettorale a dire «sono d’accordo con l’amico Piero», alimentando il sospetto di un patto del Nazareno al gianduia. L’estrema cura con la quale Lega Nord e Fratelli d’Italia hanno affrontato la questione Torino è certificata dalla vicenda di Alberto Morano, il loro candidato. Come tutti sanno in città, il notaio dell’alta borghesia torinese è vedovo di una moglie di nazionalità nigeriana, molto rimpianta, con la quale aveva dato il suo contributo alle associazioni che lavorano per l’accoglienza dei migranti. Pochi giorni fa si è prodotto in un elogio delle politiche di integrazione messe in campo dall’amministrazione uscente: «Fassino ha lavorato bene». La scomunica di Salvini è stata immediata. Ma quelle parole certificano l’anomalia di una campagna elettorale dove i presunti avversari del sindaco uscente non fanno che coprirlo di complimenti, riconoscendo il buon lavoro svolto durante la difficile riconversione economica della città. E se lo pensano loro, chissà perché dovrebbero pensarla diversamente gli elettori.

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